giovedì 29 settembre 2016

Comunicazzioni di servizzio

Prima comunicazzione
Sto partendo per Budapest dove partecipo, su invito del coordinatore, alla conferenza Economic Growth and Social Equity. Parlerò di tasso di cambio e produttività: cose che sapete, e che un giorno saranno il mainstream. Per evitare ingorgo di email, visto che da commentare c'è poco, chiudo i commenti del blog. Ve ne starete un po' in astinenza, e mancherete molto anche a me. Mi consolerò pensando che così non riceverò nemmeno le scemenze di chi grufola per blog di infimo ordine e poi viene qui a chiedermi spiegazioni. Una possibile spiegazione è nel programma della conferenza: ci sono Skidelsky, Thirlwall, Bofinger, ecc., ma non ci vedo gestori di blog di infimo ordine (escluso questo, ovviamente).

Quindi chi eventualmente fosse così scemo da non capire la differenza fra un economista e un opinionista, credo sia ora che si faccia una domanda e si dia una risposta. Se invece volevate fare pubblicità a chi non se lo merita, non ha funzionato. Io, peraltro, non credo che sia mio dovere convincere nessuno. Ormai gli "uscisti da sinistra" hanno comprato così tanto tempo, per regalarlo al grande capitale internazionale, che i danni sono stati fatti tutti: dalla Fornero, al Jobs act. L'uscita sarà tanto inevitabile quanto dolorosa, perché accompagnata da una crisi bancaria che ci costerà quello che sappiamo. Che ragioniate o meno a questo punto è irrilevante: sono sempre disposto a informare e ad assistere chi vuole fare un percorso. A chi grufola auguro di trovare delle buone ghiande: ma non cheda a me di portargliele!

Seconda comunicazzione
Gombloddone! Il sito di a/simmetrie è giù! Gli hacker, i poteri forti...

Magari, amici, magari... La verità è che il sito è in manutenzione, e che anche se molti, fra i pochi che contano, ci leggono, in realtà i pochi che contano davvero sanno che nessuno ci si fila: siamo una simpatica nicchietta di persone che non spostano voti.

Quindi tranqui: facciamo qualche piccolo intervento, e poi rimettiamo su tutto.

Nel frattempo, se volete pubblicizzare il convegno annuale feel free: potete sempre farlo tramite la nostra pagina Facebook (che non usiamo molto ma c'è). Ci trovate anche il link al modulo di iscrizione. Vi ricordo che l'albergo apre solo per noi e che quindi posto c'è. Tuttavia, nel caso siate anZiosi, qui vi fornisco anche la scheda di prenotazione (per le poche ore in cui asimmetrie.org sarà giù).

Terza comunicazzione
Nel frattempo, qualora sentiate il bisogno di rendervi utili, ricordatevi di mandare in nomination ai MIA2016 questo blog e gli altri siti che abbiamo indicato qui e che vi ricordo:

Miglior sito: Il Pedante
Miglior articolo: http://goofynomics.blogspot.it/2016/06/brexit-qualche-cifra.html

Miglior pagina FB: Feudalesimo e Libertà
Miglior tweeter: @borghi_claudio
Miglior sito satira: Feudalesimo e Libertà
Miglior sito economia: http://goofynomics.blogspot.it/
Miglior sito politico / di opinione: http://vocidallestero.it/
Peggior cattivo online: Alberto Bagnai



Il modulo per farlo è sempre al solito posto e avete tempo fino al 30 (che sarebbe domani).

Ci risentiamo lunedì...



Post scriptum delle 19 da Pest (prima di andare a cena con un gestore del fiorinuccio... speriamo che porti con sé la carriola):
a/simmetrie qui in Ungheria mi risulta di nuovo attivo. E mi risulta pure che 298 biglietti siano già partiti. Nota: l'offerta a 35 euro vale fino al 12 ottobre (per altri 14 giorni). Poi la tariffa early bird scade. Non vi ho detto tuttissimi gli ospiti, ma non per cattiveria: solo perché non ho avuto tempo. In effetti, come ogni anno il #goofy è un work in progress, ma quest'anno abbiamo fatto tutto piuttosto per tempo. L'unica decisione last minute (perché prima non lo conoscevo, ed è stato abbastanza un colpo di fulmine per motivi che poi vi spiegherò quando avrò tempo) è stata quella di invitare anche Maximilian Forte. Forse leggendo questo suo articolo potrete capire cosa me lo ha fatto sentire  vicino, tenendo presente comunque il fatto, che a voi devo spiegare ma a lui no (perché è un antropologo), che le stesse parole dette in due contesti sociali e antropologici diversi sono parole diverse. Tuttavia il suo sbigottimento, il suo sconforto, il suo dolore nel constatare come argomenti intrinsecamente appartenenti alla cultura progressista vengano lasciati alla destra li sento molto vicini allo sbigottimento, allo sconforto, al dolore che mi hanno portato ad aprire questo blog, intervenendo sul Manifesto. Peraltro, questo articolo di Forte, insieme a questo spettacolare articolo di Graeber (che per qualche motivo mi è venuto in mente durante la discussione coi dottorandi a Perugia due giorni fa) sono due prove evidenti della sciattezza di pensiero e della pochezza umana di un'altra professione. Non vi dico quale, tanto lo sapete... e per me è tardi per cambiare lavoro!

Su Forte e su Graeber (entrambi segnalatimi da uno di voi, il primo su Twitter e il secondo qui) ci sarebbe tanto da commentare. Ma, purtroppissimo, mi sono accorto che senza le notifiche dei vostri commenti si campa tanto ma tanto bene. E così, visto che sono all'estero e che il telefonino costa, statevene in astinenza, che vi farà bene. Riavvicinati alla durezza del tacere...

lunedì 26 settembre 2016

I turbamenti del giovane Lunghini

di Leonardo Mazzei

Poi c'è chi si chiede come mai, davanti al disastro dell'euro, la sinistra brancoli nel buio più della destra. Certo, c'è il problema della direzione politica e non è poco. Ma ci sono anche economisti che sparano immani stupidaggini spacciandole per verità. Il bello è che le loro improbabili certezze neppure provano a spiegarle. Le buttano lì come fossero indiscutibili, tanto per quella mercanzia un Manifesto che le pubblica si trova sempre, così come è sicuro che un anemico sito come quello del Prc le rilancerà con gioia.

E' questo il caso di un articolo di Giorgio Lunghini, uscito venerdì scorso.


[il resto qui]






(...di mio aggiungo solo che quando a sinistra si comincia a ragionare come Oscar Giannino - economista ideologicamente vicino all'università nella quale il professor Lunghini insegna - credo sia arrivato il momento di preoccuparsi. Non è con simili sparate populiste, tutte pancia e niente dati, che si combatte la destra. Ma forse lo scopo non è quello: forse è solo tutelare, finché possibile, il valore reale dei propri sudati risparmi...)

(...non mi spreco a confutare nel merito roba simile: l'ho già fatto nei miei libri e in innumerevoli post. Inutile poi parlare di letteratura scientifica con chi non ha comprovate esperienze di ricerca nel merito: se rispondessi, probabilmente non capirebbe, così come non capirei io se venissi provocato sul cruciale tema della storia come ordine naturale in David Ricardo - tema sul quale peraltro non intervengo, perché essere di sinistra è attenersi alle proprie competenze. Comunque, se vi interessa, a dimostrazione del fatto che abbiamo già dato, c'è la serie delle leggende metropolitane bipartisan, che qui elenco per vostra comodità:

1) Svalutazione e salari
2) Cambio nominale e cambio reale
3) I tassi schizzeranno (Peternomics)
4) La svalutazione deprime la quota salari
5) La svalutazione sarà imprevedibile però sarà devastante

Ne trarrete fatti per valutare il peso delle opinioni altrui. Non aggiungo altro, se non il mio sconforto di esercitare mio malgrado una professione degradata da episodi simili, quando io per me ero chiamato a farne un'altra...)

sabato 24 settembre 2016

Occasioni sprecate

(...la sintesi del post precedente è che ognuno si incarta come crede. Io tiro dritto. Ora passiamo ad altro: cose che sicuramente voi sapere, e che mi vengono segnalate da un amico e lettore - e anche studente attempato pro tempore. Ho fatto un copia e incolla a futura memoria, anche se non tutto mi convince - ad esempio, De Benedetti...)

Caro Alberto
 


Inizio sunto (Ndc: l'editore mi scuserà se gli faccio un po' di pubblicità):

Agli inizi degli anni sessanta, l’Italia vantava alcuni poli di eccellenza scientifico-tecnologici che il mondo le invidiava in quattro settori strategici: informatico, petrolifero, nucleare, medico. Oggi, in pieno terzo millennio, è il fanalino di coda tra i paesi più sviluppati proprio per scarsità d’innovazione e ricerca. Perché? Un libro inchiesta ricostruisce per la prima volta la storia di quattro casi emblematici del modello di sviluppo avviato e smantellato in quegli anni a tempo di record, evidenziando il filo rosso che li lega e che spiega perché ciascuna di quelle esperienze è fallita. Il caso Olivetti, il caso Mattei, il caso Ippolito e il caso Marotta, vale a dire nascita e morte della rivoluzione informatica che ha portato alla progettazione del primo pc e dei primi microprocessori del mondo; inizio e fine dell’autonomia energetica del paese, oltre che della competizione col monopolio angloamericano del petrolio; soppressione del Cnen, che ci aveva portato al terzo posto per produzione di energia elettrica di origine nucleare; decapitazione dell’Istituto superiore di sanità, che fece dell’Italia uno dei primi tre produttori di penicillina grazie anche all’invenzione del microscopio elettronico. Quattro incubatrici di un modello di sviluppo economico e sociale basato sulla ricerca scientifica, gettate alle ortiche tra le faide politiche interne e le pressioni e i sabotaggi internazionali in piena guerra fredda. Attraverso la cronaca, la stampa, la letteratura, e una serie di interviste a testimoni diretti e a esperti, il libro offre un angolo visuale tutto nuovo da cui guardare alle radici del declino attuale.

Fine sunto.


Ti segnalo anche un altro libro, che restringe l’attenzione su due dei quattro campi sopra indicati, e che tratta anche di Mani Pulite:


Inizio sunto

Enrico Mattei e Adriano Olivetti davano fastidio agli Stati Uniti. Andavano fermati. Il primo insidiava il monopolio delle "Sette sorelle" sul petrolio. Il secondo non solo proponeva un nuovo modello sociale - immaginando un'impresa che facesse proprie le istanze del bene comune - ma aveva portato l'azienda di Ivrea ad essere protagonista nelle ricerche sui calcolatori. L'eredità di Mattei e Olivetti è stata gettata alle ortiche e dissipata nella lunga sbornia liberista che ha attraversato il Paese. Dal 1991 al 2001 sulla Penisola si scaraventa una valanga di privatizzazioni (banche e imprese). E non può non saltare agli occhi la "coincidenza" temporale di questa svendita con la stagione di Mani Pulite, un'operazione politico-giudiziaria, sostengono gli autori in questo saggio, "certamente incoraggiata dagli Usa", e che tolse di mezzo gli imprenditori e i politici che avevano contribuito al rafforzamento dell'economia italiana. Con la liquidazione dell'ENI e dell'IRI si riportava l'Italia alle condizioni del dopoguerra: quelle di un Paese minore nel contesto internazionale. Amoroso e Perrone si mettono sulle tracce dei liquidatori dell'interesse nazionale, senza nostalgie per il passato ma mossi da un bisogno di verità e chiarezza sulle ragioni del declino italiano.

Fine del sunto (Ndc: su Olivetti ho idee un po' diverse, maturate dalla lettura di alcuni contributi che mi ha segnalato Bertani, ma passons...).

Aggiungo che, non troppo tempo dopo la morte di Adriano Olivetti, avvenuta in treno, e` morto, in un incidente stradale, l’ingegner Mario Tchou, che era la principale mente direttiva delle attivita` di ricerca in campo informatico della Olivetti, che allora era avanzatissima (la Hewlett Packard copio` delle idee della Olivetti edovette pagare una multa).

De Benedetti ha affermato, in una intervista, che all’epoca della scomparsa di Adriano Olivetti e Mario Tchou, i restanti quadri nella Olivetti erano convinti che quelle morti fossero state provocate dai servizi segreti statunitensi (un infarto puo` essere indotto per via farmacologica).

Infine, ti segnalo un libro di Antonio Venier dal titolo “Il disastro di una nazione. Saccheggio dell’Italia e globalizzazione”, presentazione di Bettino Craxi, pp. 160, Padova, Edizioni di Ar, 2000.

Eccone la recensione, scritta da Salvatore Verde

Inizio recensione:

In totale dissenso dalla vulgata propagandistica di "Mani pulite", questo libro espone un’analisi non convenzionale degli avvenimenti italiani succedutisi nell’arco di tempo 1992-1998. Il silenzio dei grandi economisti di questo paese -non solo di quelli che fanno la spola fra la cattedra e gli incarichi politici, ma anche di quelli che si dicono professori ‘puri’, cioè privi di ambizioni politiche e di aspirazioni alle consulenze del settore pubblico- su un tema di fondamentale importanza qual è quello della eliminazione del settore pubblico (e di buona parte di quello privato) dall’‘ancoraggio’ nazionale (ossia dal mantenimento di buona parte dell’economia italiana in mano italiana), sarebbe sorprendente se il veleno liberista, che tanto colpisce oggi la classe politica e quella imprenditoriale, non fosse asceso all’empireo del dogma pseudoscientifico. Quell’empireo, che vanamente i vari Adam Smith e David Ricardo cercarono di scalare nel XVIII secolo, allo scopo di permettere all’industria inglese di dominare il mondo e di impedire l’industrializzazione tanto dell’Europa continentale quanto dei neonati Stati Uniti d’America. Creatosi, con il crollo dell’Unione Sovietica, il clima adatto, sulle basi gettate dalla ’scuola’ monetarista di Milton Friedman e da tutti i ragionieri-’economisti’ allevati nelle varie banche centrali di emissione, BRI, Banca Mondiale, oltre che nel FMI e nel GATT (1), era inevitabile che la classe politica si arrendesse a discrezione, se questo era (e lo era) il prezzo da pagare. Un prezzo che essa ha puntualmente pagato, o meglio, che ha pagato il popolo che bovinamente le aveva - e le ha - affidato il proprio avvenire.
Si è tanto parlato, a proposito dell’industria di Stato, di “carrozzoni” di cui l’IRI rappresentava l’esempio maggiore.
Nessuno discute la necessità di risanare quel pozzo senza fondo, in cui si scorgeva una gestione catastrofica sopra tutto di Finsider e Finmare. Ma una cosa è il risanamento, ben altra cosa, invece, è la liquidazione. Era possibile risanare?
Riguardo all’Italsider, se si tiene conto che i deficit erano causati sopra tutto da gravosissimi oneri bancari, da approvvigionamenti a prezzi eccessivi e dalla pletora di mano d’opera, la risposta deve essere affermativa: certo, era possibile risanare. Per azzerare gli oneri bancari, sarebbe stato sufficiente fornire alla gestione i mezzi necessari al normale funzionamento, a interesse zero. Eventualmente -come già si usava praticare nei confronti degli Enti Locali- tramite la Cassa Depositi e Prestiti, dato che la grande liquidità (proveniente dal risparmio postale) di quest’ultima lo avrebbe facilmente consentito. Per ridurre fino al 50% gli oneri del personale, sarebbe bastato attrezzare con le ultime applicazioni tecnologiche gli impianti e la movimentazione, nonché eliminare le assunzioni clientelari e le assurde remore interne imposte da sindacati ebbri di demagogia. Per approvvigionarsi a prezzi di mercato, sarebbe stato opportuno operare mediante aste trasparenti, anziché agire sulla base di tangenti. Inoltre si sarebbe dovuto, da una parte, puntare maggiormente sui nuovi processi di produzione e sugli acciai speciali; dall’altra, diversificare ulteriormente le fonti, acquistando magari le migliori ‘maniere’ estere. (Giappone docet). Anche per quel che riguarda il gruppo Finmare la risposta non può che essere affermativa. Per riportare ordine nei suoi conti sarebbe bastato -in difetto di idee originali- copiare il “know how” e la tecnologia giapponesi -e/o quelli della cantieristica norvegese- tanto in materia di organizzazione del lavoro quanto in fatto di flessibilità di rotte, di gestione dei container, di riduzione dei tempi morti di permanenza nei porti o in navigazione; si sarebbe inoltre potuto curare una migliore dinamica nell’acquisizione degli ordinativi e nello sfruttamento dei volumi di carico. Tutto ciò, senza dimostrare alcuna sudditanza nei riguardi di committenti eccellenti o di clienti politicamente protetti. In entrambi i casi (Finsider e Finmare), una immediata  essa in disponibilità dei fondi di dotazione avrebbe fatto risparmiare -con o senza il ricorso alla Cassa Depositi e Prestiti- migliaia di miliardi di interessi passivi.  Il medesimo discorso vale, mutatis mutandis, per le altre imprese del Gruppo IRI. A quel punto, ovvero a risanamento ottenuto, si sarebbe anche potuto vendere -però, a imprese o a consorzi italiani (o a maggioranza nazionale), con notevoli ricavi per l’Erario e, quindi, per il contribuente, mantenendo così in Italia la “cabina di pilotaggio”. Ma tant’è... Attraverso Mario Sarcinelli (2), Bankitalia aveva evidentemente già promesso (3) agli uomini della Finanza internazionale la svendita del patrimonio degli Enti di Stato -quindi....bisognava ottemperare!
Nel suo saggio, il Venier sintetizza alcuni aspetti del disastro dell’industria italiana, rivelando nella propria agile ricognizione una lucidità e una acutezza che di rado si riscontrano pure nelle rare analisi anticonformistiche di questo tema. Di ciò, tutti gli italiani -o meglio tutti gli italiani che, pensando, rimangono pensosi di fronte alla sorte di questa Nazione- debbono essergli grati.  La materia, in realtà, meriterebbe un’analisi più vasta e articolata, attraverso uno studio complessivo, munito di tabelle a confronto e -elemento, questo, non meno importante- integrato da un ‘libro bianco’ (o ‘nero’?), redatto dai principali protagonisti della galassia IRI. Un ‘libro bianco’scritto sopra tutto da coloro che, fra questi ultimi, non furono pedissequi esecutori di ordini politici e di ‘ukase’ della Finanza.
Certo, sarà vano attendersi un testo siffatto da uomini come Romano Prodi che, dopo aver rappresentato in Italia gli interessi della “Goldman & Sachs”, venne nominato presidente dello stesso
IRI: con quei risultati -a suo dire- “straordinari”, che tuttavia non impedirono la liquidazione del Gruppo a condizioni catastrofiche non solo per l’erario ma anche per l’indipendenza industriale e navale nazionale, per le maestranze, e per una miriade di professionalità irrecuperabili. Possa quindi questo saggio di Antonio Venier essere il primo di una più ampia letteratura specializzata. E siano resi al medesimo autore la simpatia e l’omaggio che meritano i pionieri della ricerca, in campi dove chi si avventura deve combattere non solo contro i muri di  gomma ma, sopra tutto, contro l’ostilità ostinata di chi sapendo non osa parlare.

Fine recensione

Ho capito, grazie a te che, sapendo, osi parlare, che la moneta unica e` un altro strumento dello stesso gioco. Grazie.

A presto.


(...a beneficio dei cretini, che essendo la maggioranza in democrazia regnano, ricordo che uso il font Courier New quando riporto brani altrui...)

venerdì 23 settembre 2016

Sono un liberale?

(...qui l'originale. Segue traduzione...)

L'idea che per non farci mandare la troika usciamo dall'Eurozona e facciamo l'Italia federale, così poi mandiamo la troika in Calabria se questa non rispetta il pareggio di bilancio pubblico, può essere estremamente attraente per i gonzi, può costituire una sintesi politica di un discreto valore tattico per mettere temporaneamente a tacere i riottosi camuni o gli industriosi insubri, ma non sposta minimamente i termini del problema, che sono questi: oggi, solo un rigoroso keynesismo, come quello iscritto nella nostra carta costituzionale del 1948, può garantire la nostra libertà, e la vera libertà, prima ancora che quella di espressione (per la quale vedete cosa sta succedendo su Twitter, lo strumento delle varie primavere arabe e rivoluzioni colorate...), è quella dal bisogno, come imparai da Lello, ex macchinista comunista che conobbi, quando avevo l'età di mio figlio, al Dopolavoro Ferroviario di ponte Margherita, lì dove conobbi anche Spartaco, Giuliano, persone alle quali fu possibile morire con dignità, perché avevano acquistato, lottando, il diritto di vivere con dignità.

lunedì 19 settembre 2016

Franza o Germagna... purché se magna!

(...ricevo da un giovine lettore - i giovini, si sa, sono la mia passione - questa appassionante quanto erudita digressione storico-geografico-politica sul destino della mejo goiventù di un paese a me particolarmente caro. Quale? Leggete e vi sarà risposto...)



Gentile Prof. Bagnai,

si ricorda di ITAZUBI? Le scrivo ora da Vergate sul Membro, una piccola cittadina nella pianura di Giovinia dove lo scorso giugno il Movimento del Nuovo Che Avanza ha vinto le elezioni amministrative contro il Partito del Vecchio Che Resiste.

Sono davanti a un buon bicchiere di Sangioviniese (l’IGP locale, gliene porterò due bottiglie al Goofy5 che cade proprio dopo san Martino) col funzionario responsabile per le politiche giovanili di un luogo in cui la conflittualità sociale presto potrebbe far sembrare gli anni ’70 un cartone animato; grazie al suo lavoro di divulgazione stiamo cercando di trasmettere ai nuovi amministratori alcuni concetti ormai acquisiti dai suoi lettori, fra cui quello che, in una crisi di domanda (di lavoro), agire sul piano dell’offerta (di lavoro) ha la medesima razionalità di curare il mal di denti con un collirio, con buona pace di quanti farfugliano di tubetti e dentifrici o di “sradicare un milione di giovani dal divano” col famigerato Garanzia Giovani.

Noi ce la mettiamo tutta, ma Vergate storicamente non ha mai avuto una classe dirigente eccellente [ndC: l'omoteleuto lo avrei evitato, anche se...]: quando nel XII secolo i comuni si ribellarono al Barbarossa, si alleò dapprima coi Milanesi che sfidarono l’impero e persero, così la città fu distrutta insieme con Milano e altre nel marzo 1162; imparata la lezione, Vergate allora si alleò col Barbarossa, che nel 1176 – sceso per la quinta volta in Italia – fu sconfitto a Legnano: così, per rappresaglia, i Milanesi la distrussero nuovamente (azzeccare i riposizionamenti era anche allora una questione di timing).

Oggi come allora per andare a Milano i vergatesi devono varcare il Ticino: ne consegue che Vergate è in Piemonte, perciò i suoi “giovani e adulti, fra i 18 e i 35 anni, inoccupati/disoccupati disponibili sul mercato del lavoro” possono approfittare della “quota di sussistenza” di 100 euro a settimana (più cuccia e ciotola) messa a disposizione dal Fondo Sociale Europeo per alcuni tirocini “presso imprese/enti del settore turistico-alberghiero” nel sud della Francia.

Ora, in quel territorio Marine Le Pen e il F.N. hanno già risultati elettoralmente apprezzabili e non avrebbero particolare bisogno di un aiuto da Bruxelles; inoltre, se italiani e piemontesi son piuttosto ben accolti come turisti, storicamente lo sono un po’ meno in veste di lavoratori stagionali: si pensi ai fatti dell’agosto 1893 a Aigues-Mortes.

Ma ora tutto è cambiato e probabilmente per imparare a servir correttamente una crêpe (almeno per chi ha fatto l’alberghiero e acquisito esperienza nella ristorazione in Italia) forse 4 mesi sono appena sufficienti.

Grazie e buona guarigione,

Anonimo Italiano


(...poi dice che uno se ne vuole uscire dall'unione... Comunque questa storia di Aigues-Mortes non la conoscevo, ma la trovo estremamente istruttiva e attuale. Effettivamente, la sintesi di Daniele mi pare impeccabile: senza l'aiuto di Bruxelles, Marine non ce la farebbe. La vera domanda quindi è: ma perché Bruxelles sta aiutando Marine in ogni modo possibile? Eterogenesi dei fini? La rana e lo scorpione? Vai a sapere. Germagna o Franza, purché si avanza...)

(..."più cuccia e ciotola" è spettacolare. Solo voi riuscite a tenermi in piedi. Il problema è che sta cazzo di granata non arriva. D'altra parte, è francese, mica tedesca, quindi non ci si aspetta sia in orario...)

domenica 18 settembre 2016

La pagliuzza MPS e la trave DB

(...da Charlie Brown. Che non sono io, perché lui non è me. Quindi non da me, che non sono Charlie Brown, perché io non sono lui...)


(...e ora aspetto il diversamente intelligente che "bravo, professore!"...)




Il recente giro di poltrone a MPS dà il senso di un tram vicino al capolinea.

Non si esce da una situazione patrimoniale e reddituale così compromessa in assenza di un intervento pubblico.


MPS è un microbo rispetto al gigante malato Deutsche Bank, passibile di una meritatissima multa Made in USA di 14 miliardi a fronte di una capitalizzazione di soli 18Mè meglio per MuttiMerkel e per il suo mentore Clinton-Bama  puntare il faro mediatico sulla pagliuzza senese facendo così passare inosservata la trave DB. 


Ormai però il faro è stato acceso (anche grazie ad una vigilanza europea del tutto asimmetrica) ed agli italiani tocca metterci una pezza. Altrimenti, data l'interdipendenza percepita tra banche, ci sarà sempre qualche solone eurista pronto a pontificare su come il povero gigante di Francoforte non sia "picchiato" per problemi di salute suoi proprima per un brutto virus contratto a Siena.


Occorre quindi Salvare il Soldato MPS.  E per far ciò aggirando l'insuperabile scoglio della "no-bail-out-doctrine"  (le bugie della Vestager non bastano più) diversi chef finanziari stellati propongono alla cricca regnante ricette di alta gastronomia derivata. Ma ben vedere più che di stelle Michelin si dovrebbe parlare di gioco delle tre campanelle.


I vari "piani" infatti hanno due componenti di base:


1) uno smembramento della banca in due  parti, la prima della quale ripartirebbe miracolata da una nuova verginitàmentre per la parte malata "si vedrà";


2) un trasferimento al mercatopezzettino per pezzettinodei rischi collegati ai crediti marci e marcescenti della banca tramite la cosiddetta "finanza derivata" .

"Dottò, dov'è la perdita?  Dov'è?  Qui no, là neanche…"


Ora la componente (1) equivale ad una bancarotta legalizzata [ndc: mannò, che dici! È una bedbenk...] mentre la componente (2) equivale ad una operazione di mimetismo per vendere "a' sola" a una vasta platea di soggetti ignari tramite l'industria del cosiddetto wealth management.


Obiettivamente è il meglio che si possa fare, visto che in finanza vige la legge dell'additività del valore. Puoi tagliare un'impresa in tutti i pezzi che vuoi e venderli in tutti i modi che vuoi, ma il valore totale non cambia. Se è negativo resta negativo.


Due  cose andrebbero capite, e capite bene:


1)  I soldi persi dalle banche italiane sono persi per sempre.


2) Quei soldi sono stati persi per sempre dalle imprese affidate principalmente poiché la nostra economia è stata azzoppata da una crisi importata dagli USA e dalla Germania (per mezzo del sullodato wealth managemente non ha i mezzi di politica economica e monetaria per risanarsi (grazie al beneamato euro e a tutto ciò che ci va dietro).


Finché saremo nell'euro e soggetti ai vari diktat "lato offerta" l'economia italiana non ripartirà, e si perderanno altri soldi. Nessuno quindi investirà a valori equi in imprese bancarie prive di prospettive. Si potrà svendere ma non risanare il nostro sistema creditizio. E poiché un paese industriale non può crescere  senza un sistema creditizio sano, la "cura" sarà di fermare tutto e spremere il malato come un limone: il salasso di antica memoria (oggi "Troika"). Si riparte poi, dopo molto tempo e molte lacrime, in gran parte in mani straniere: i frutti dei sacrifici fatti si accumulano largamente altrove.


Son cure queste che si applicano paesi falliti i quali  non hanno la dimensione economica e le risorse umane e  tecniche dell'ItaliaCure che quindi da noi rappresenterebbero un non-senso politico, economico, ed eticoa meno che non si persegua la distruzione della nostra sovranità economica e politica.  Cure che, se si vogliono davvero evitaresi evitano solo reintroducendo nell'equazione lo Stato, in tutte le sue dimensioni e nella sua piena libertà monetaria.


Fantasie?


Assolutamente no.


Sul piano meramente bancario si pensi all'efficace  salvataggio pubblico inglese di Barclays e RoyalBank of Scoltand (i cui manager non erano di certo meglio dei nostri). Si pensi poi ai costosissimi salvataggi teutonici delle varie Landeschifezzen, feudi dei politicanti locali: salvataggi fatti alla spiccia senza tante storie  (come lo sarà probabilmente quello della comatosa Deutsche Bank)

Mai come ora questa opzione per la sovranità economica e monetaria è attraente per l'Italia, essendo maturate la condizioni globali politiche e finanziarie per un distacco soft dall'area Euro e della sue (per noi) insane leggi.

 

Occorre solo guardare in faccia la realtàE agire!

 

 

venerdì 16 settembre 2016

L'importanza della laurea

(...in cucina, preparando un gramo riso in bianco per sovvenire alle travagliate vicende del carcere - spero di massima sicurezza - della mia anima immortale...)


Io: "[filippica a piacere lunga circa cinque minuti, rimestando convulsamente nella pentola con un cucchiaio di legno] ...per cui adesso, cinque anni dopo, le cose stanno così: o capite quello che vi ho detto, o per quel che mi riguarda, considerando che a me perdere non piace, ve ne potete anche andare affanculo!"

Roberta: "Magari non dirglielo proprio così!"

Io: "Certo, cara, parlerò coi sottotitoli."

Uga: "Babbo, ma tu in cosa sei laureato?"

Io: "In economia, amore."

Uga: "Ah, ecco perché parli così bene!"


(...il discorso è tested and approved by HSH Uga, la quale, possiamo esserne certi, non ha capito assolutamente niente. Come del resto quelli ai quali è rivolto. Ma almeno, dopo, potrò inginocchiarmi sulla tomba di mia nonna, in attesa di visitarne altre. Tante altre. Tutte le altre. E poi, libertà...)


MIA2016 nomination: istruzioni per l'uso

Scusate, ma certe volte mi cadono le braccia. Questa è una di quelle volte:

occhiodifalco ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "MIA2016: nomination":

Vorrei solo far notare che quest'anno hanno cambiato completamente il modo per votare le diverse categorie: prima avevamo dieci suggerimenti , ora dobbiamo scrivere tutto, sistema molto più complesso e che disperde voti se non ci si organizza con un'ipotetica lista tipo quella di Cosimo.
A pensare male si fa peccato (ma si azzecca sempre): hanno cambiato dopo il " nostro " esploit dell'anno scorso?

Postato da occhiodifalco in Goofynomics alle 14 settembre 2016 17:57


Io voglio bene a tutti, però occhioditalpa mi sembra che abbia perso un dettaglio essenziale! Esattamente come negli anni precedenti, il Macchia Nera Award si svolge in due fasi:

1) nomination;
2) premiazione.

La nomination, ovviamente, non può (per definizione) fornire scelte predefinite. Devo spiegarvi perché? Spero di no, tranne forse che a cervellodivolpe, giusto? Vabbè, dai, ve lo spiego: la logica del premio è individuare i siti che hanno riscosso il maggior gradimento della rete e poi premiare i migliori. Naturalmente, se i siti da premiare fossero indicati dagli organizzatori, sarebbero espressione delle preferenze di questi ultimi, e non di quelle della rete.

La fase delle nomination serve a questo, e obbedisce a due regole che servono a evitare brogli e a garantire un sufficiente quorum di voti (affinché il voto sia minimamente significativo):

1) per assicurare un sufficiente numero di voti, bisogna nominare qualcuno in almeno otto delle delle 40 categorie proposte;

2) per evitare spamming, nessuno può essere nominato in più di quattro delle categorie proposte.

Ora, a me dispiace farlo notare, ma queste regole, oltre a essere intuitive e condivisibili, sono scritte in testa al modulo in cui si segnalano le nomination, cui potete accedere qui.

Sempre dalle stesse istruzioni in testa al modulo si evince chiaramente che questa cosa potete farla fino a domenica 18 (avete ancora un giorno e mezzo, se vi va), e poi, fatto lo scrutinio, a partire dal 19 settembre avrete un sacco di tempo (fino al 2 novembre) per votare, selezionando fra i dieci nominati in ogni categoria.

Quindi anche quest'anno avrete il modulo coi dieci suggerimenti, ma dopo che avrete suggerito chi suggerire. Chiaro?


Bene. Sperando (anzi, no: non sperando) di aver fatto chiarezza, vi dico come la vedo io. Partendo dalla lista di Cosimo:

Miglior sito: Il Pedante.
Miglior personaggio: Alberto Bagnai.
Miglior articolo: http://goofynomics.blogspot.it/2016/05/terza-globalizzazione-e-primo-maggio.html .
Miglior community: http://vocidallestero.it/ .
Miglior pagina FB: Feudalesimo e Libertà .
Miglior tweeter: @borghi_claudio .
Miglior sito satira: Feudalesimo e Libertà .
Miglior sito economia: Goofynomics .
Miglior sito politico / di opinione: http://www.byoblu.com/ (credo che siamo in parecchi a dover qualcosa a Messora).



posso dirvi che la condivido quasi tutta, ma che però:

[A] credo che sia il caso di scegliere nella categoria "miglior articolo" quello sulla Brexit proposto da Alberto49, per quattro motivi:

1) è più corto;
2) è di maggiore attualità;
3) è più comprensibile a chi non sia dei nostri;
4) è il quinto articolo più letto di sempre (pur essendo uno degli ultimi scritti).

[B] non ho nulla se non gratitudine verso Claudio, ma come sito politico/di opinione mi sembra opportuno votare vocidallestero per la sinergia che ha con il nostro progetto (Claudio potete nominarlo in molte altre categorie).

[C] Sono anche perplesso circa la mia nomination come "miglior personaggio". Ci sono personaggi ben migliori di me, sia in senso proprio che in senso figurato, quindi lascerei perdere. Qualcuno parlava di nominarmi come peggior cattivo. Mi sembra più divertente.

Ora, mi rendo conto che sto parlando a persone che sono entrate nell'euro senza leggere le istruzioni per l'uso, per cui quello di occhioditalpa potrebbe sembrare un peccato veniale. Invece non lo è, per due motivi. Il primo è che se è ammissibile fare una cosa seria con leggerezza, è sempre totalmente inammissibile fare una cosa leggera senza la dovuta serietà. Il secondo è che nel caso dell'euro le istruzioni ve le hanno tenute nascoste, mentre in questo caso mi sembra abbastanza evidente che né io né gli organizzatori vi abbiamo occultato nulla.

Siccome però questo blog nasce per fare il disegnino a chi non riesce a unire i puntini da solo, credo di potervi dire che la mia dichiarazione di voto è una cosa del tipo:


Miglior sito: Il Pedante.
Miglior articolo: http://goofynomics.blogspot.it/2016/06/brexit-qualche-cifra.html.
Miglior pagina FB: Feudalesimo e Libertà .
Miglior tweeter: @borghi_claudio .
Miglior sito satira: Feudalesimo e Libertà .
Miglior sito economia: http://goofynomics.blogspot.it/ .
Miglior sito politico / di opinione:
http://vocidallestero.it/.

Peggior cattivo online: Alberto Bagnai.


Con questo minimo sindacale date le otto preferenze richieste e mi nominate solo in tre categorie, per cui nessuno si farà del male (tranne gli altri).



(...non sono ovviamente d'accordo con la segnalazione di pupipupi, perché, per quanto ROARS svolga una utilissima funzione di servizio, il fatto che un sito che si occupa di qualità della ricerca elegga a proprio economista di riferimento un opinionista privo di pubblicazioni lascia trapelare che c'è qualcosa che non va, e cosa sia lo ha provato sulla sua pelle chi ha tentato di portare in quel sito il tema del rapporto fra adozione dell'euro e tagli all'istruzione, trovandosi di fronte a un muro di ottusità che suggerirei di sgretolare con una serena ma granitica indifferenza. D'altra parte, mi pare che lì il dominus sia un ingengngniere, che, anche se meritevole e simpaticissimo (scrive molto bene) non può essere ciò che non è, come del resto ognuno di noi: e a noi piace non ricordarlo così...)

Una cosa di sinistra

(...letti alcuni commenti al post precedente...)

Su qui e qua l'accento non va.


(...grazie...)

giovedì 15 settembre 2016

Calais - Francia



Mi presento.

Mi chiamo Samuele Tofano, sono nato in un paesino toscano non lontano da Firenze, da padre romano e madre israeliana. Sono laureato in Informatica (non Ingegneria Informatica, sia ben chiaro), che è anche il mio mestiere da ormai parecchi anni e che mi ha portato da qualche anno a lavorare nel Regno Unito, a Cambridge. Ho una figlia di 6 anni, che meriterebbe di crescere in un mondo migliore. L’anno scorso ho anche conseguito una laurea in Relazioni Internazionali all’università di Bologna. Proprio a seguito del corso di Economia Internazionale che ho avuto modo di frequentare nei miei recenti studi, ho scoperto il blog Goofynomics e la divulgazione del Prof. Bagnai.

Mi definisco una persona di sinistra e nella mia vita elettorale ho votato varie incarnazioni, schegge impazzite, frammenti, della cosiddetta sinistra, ma da quando è nato il PD non sono più riuscito a farlo. Allo stesso tempo confesso che la lettura di goofynomics ha cambiato molti dei miei pregiudizi e opinioni di chi sa di sapere, alcuni dei quali oggi caratterizzerebbero un buon “piddino”.

Uno dei temi che di recente, per forza di cose, ha attirato maggiormente le mie riflessioni è quello dell’immigrazione, della quale è molto difficile, anche personalmente, spezzare la rappresentazione oleografica che ne viene fatta da varie anime di sinistra, più o meno credibili. Siccome la pietà umana non ha dal mio punto di vista limiti che si possano imporre - non rinuncio alla compassione a comando - non resto insensibile alle tragedie che avvengono nei mari attorno a noi e poi nei centri di accoglienza, nelle città, nei campi. Soprattutto credo che ogni occasione di incontro con le singole persone permette di esercitare la propria empatia e deve essere fatto senza sentirsi in colpa per quelli che si stanno in quel momento trascurando, se se ne ha almeno la consapevolezza.

Vivendo da qualche anno nel Regno Unito ho avuto modo di entrare in contatto con il mondo delle charity, molto articolato e diffuso. D’altronde un paese che ha avuto la Thatcher (di certo anche altri motivi culturali e storici) ha stimolato molti cittadini a organizzarsi autonomamente per fare ciò che lo Stato ha smesso di fare - molto lodevole e allo stesso tempo indice di società costruite su altre basi, sulle quali potremmo aprire lunghe parentesi, cosa che non faccio ora.

Tramite alcuni amici ho conosciuto un’associazione chiamata CamCRAG, nata proprio per occuparsi dell’emergenza profughi a Calais. Ad un certo punto ho deciso di unirmi ad uno dei loro convogli e mi sono ritrovato a fare un viaggio in macchina verso Dover, per poi prendere un traghetto per Calais. Ho poi ripetuto questa esperienza più volte, quasi mensilmente, perché ad ogni partenza sentivo di non aver fatto abbastanza, sarei rimasto di più. Invece il weekend si concludeva e io tornavo al mio day job da informatico, ogni volta con la sensazione di dover ritrovare un senso, una motivazione, una risposta al perché esistessero realtà come quella che avevo appena visto.

Il campo di Calais, la Jungle, ti dà il benvenuto senza complimenti, appena sbarcati, ancora prima di manifestare l’intenzione di visitarlo. Superati i controlli doganali ci si ritrova in viaggio su una strada veloce, affiancando lunghe reti di filo spinato (che ho anche filmato e montato in questo breve clip).

Qui vorrei fare una annotazione sul tema dei confini, che questo blog ha trattato più volte, perché queste reti non corrispondono affatto alla legittima necessità di una nazione ad avere dei confini, Schengen o non Schengen. Sono invece una stortura, sono reti di isolamento e protezione nei confronti di una massa di persone che non sarebbe lì se gli stessi paesi, che hanno eretto quelle barriere, non avessero indirettamente (quando non direttamente) contribuito a crearla. Sono un rimedio scarso, un palliativo, che alla fine offende la dignità umana di individui che, incredibile a dirsi, presi uno per uno sono esseri umani, in buona parte privi di tutto. E la notizia del giorno ora è la costruzione di un muro, francamente un altro modo per chiudere gli occhi e non voler risolvere i problemi.

E che devo fare tutto io? No, certamente, le vere soluzioni sono quelle che non i governi non vogliono adottare. Quindi l’opera di volontariato diventa un altro palliativo purtroppo, ma almeno è una manifestazione di umanità che comunque porta del bene, ne sono convinto.

La Jungle quindi si mostra dietro ai fili spinati e poco più in là, nella non ridente periferia di Calais, si trova il grande capannone dove opera la principale organizzazione che gestisce gli aiuti ai migranti- l’Auberge Des Migrants.

Sorprende vedere come sia tutto ben organizzato, un tabellone con i vari compiti, alcuni “capi” in giubbetto arancione, una tostissima leader che smista i nuovi arrivati.

Il primo giorno di lavoro ho aiutato nella selezione dei capi di abbigliamento arrivati in centinaia di sacchi, in buona parte dal Regno Unito, ma anche da altri paesi europei. Una catena di montaggio che ben presto si fa affiatata e il nuovo arrivato diventa già l’esperto pronto a spiegare tutto a i prossimi. Ho poi ripetuto molte volte questa attività nelle visite successive, con piccole varianti, la creazione di kit base per dimensione, la preselezione tra cose indossabili e altre invece da mettere in vendita, l’inscatolamento e categorizzazione degli indumenti. Ma quel primo giorno un altro evento ha emozionato i presenti - la visita di Jeremy Corbyn ai campi e al capannone. Da poco eletto segretario dei Labour, si è presentato seguito dalla stampa che lo ha ritratto conversare con noi volontari e con i migranti. Ho avuto modo di stringergli la mano rapidamente, ancora a mesi dal referendum sulla Brexit, ancora illuso che potesse rappresentare un cambiamento reale.

Il giorno seguente ho potuto visitare la Jungle. A quel tempo la abitavano circa in 7000, su dei terreni poco occupabili altrimenti, vista la presenza molto ravvicinata di alcuni impianti, che emanano fumi e odori poco rassicuranti. Da allora si è passati per uno sgombero la scorsa primavera dell’area sud del campo, una zona meno protetta dalle reti, con conseguente allontanamento di un certo numero di migranti, pochissimi verso mete precise, molti semplicemente dispersi o diretti verso l’altro campo, quello di Dunquerque. Dopo un breve periodo di incertezza, la rimanente parte del campo è comunque rimasta abitata e all’iniziale calo di popolazione è seguito un nuovo aumento, fino ai massimi attuali, prossimi a 10000 persone, stipati nella metà dello spazio inizialmente abitato. Sono stati portati dei container per alloggiare famiglie e chi ne facesse richiesta, ma molti hanno voluto evitarlo. Il fatto è che accettare di essere portati via in autobus verso altre zone, oppure l’assegnazione di un container, significa accettare di essere registrati in Francia. Questo preclude in maniera quasi definitiva ogni possibilità di chiedere asilo nel Regno Unito.

Un aneddoto personale riguarda una mattina nella quale, arrivato al campo, un ragazzo afgano ha chiesto di usare il mio cellulare “per chiamare mio fratello a Parigi”. Appena ha iniziato a digitare ho capito che stava chiamando in Afghanistan… Inizialmente mi ha restituito il telefono dicendo che forse quella persona avrebbe richiamato e se potevo cercarlo (cosa complicata visto che mi sarei mosso in giro per il campo), poco dopo ha chiesto di chiamare di nuovo. Dopo due minuti di chiamata mi ha osservato un attimo, ha fatto un gesto e poi ha cominciato a correre. Correva lungo il grande campo che separa l’autostrada con le sue reti e la duna che delimita la Jungle, una fascia di sicurezza sulla quale si posa lo sguardo attento della polizia che presidia notte e giorno il posto. Quel ragazzo correva e io dietro di lui, cercando di ostentare tranquillità e calma, pur se con goffe mosse per via degli stivaloni che indossavo. A un certo punto ha tagliato verso il campo e sapevo che se superava la duna, più alta di un uomo, lo avrei perso definitivamente. Ho tagliato anch’io e ho fatto in tempo a vederlo entrare in un piccolo capanno, appena al confine del campo. Mi sono avvicinato e attraverso la porta socchiusa ho visto che aveva passato il telefono a un’altra persona, svegliandola e insieme hanno iniziato una conversazione in viva voce, tra urla e lacrime, naturalmente non in modo a me comprensibile. Si è aperta una tenda li vicino e un altro ragazzo ha detto “he is crazy! He is calling Afghanistan! It’s too expensive!” - eh già, gli ho fatto alzando le spalle. Poi si è aperta un’altra tenda e un altro giovane è uscito, ha visto la scena ed è andato diretto dal mio amico cominciando a urlargli contro, temevo iniziasse una rissa. Invece gli ha solo detto di ridarmi il telefono, che mi è stato riconsegnato assieme ad un abbraccio e ad un ringraziamento di cuore.

Ne sono uscito senza danni, con un pochino di spavento e con la certezza che quel mio telefono fosse ormai inserito in qualche lista della polizia, avendo fatto due telefonate verso l’Afghanistan dalla Francia...

I migranti hanno tentato di creare un microcosmo di vita quotidiana, per evitare la follia di condizioni di vita così precarie. Per cui nella Jungle si trovano negozi e ristoranti di vario genere (che senza ironia la polizia di recente ha intimato di chiudere per assenza di licenze…), in alcuni dei quali ho anche mangiato con grande gusto, mentre dietro di me qualcuno dormiva godendo del calore di uno dei pochi posti riscaldati. Un’economia nata col contributo di altri migranti arrivati appositamente, alcuni dotati anche di permesso. A girare soprattutto i soldi dei volontari, un po’ gli IDE della Jungle...

Ho incontrato curdi e afgani, sudanesi e siriani, un iracheno che in uno stentatissimo inglese mi raccontava preoccupato che gli avevano preso le impronte digitali ad Amsterdam. Ad alcuni ho chiesto “perché in UK?” e in diversi casi la risposta era “perché l’economia lì è meglio!”. Qualcuno mi diceva “sono stato in Italia, ma le cose vanno male, non lavorano nemmeno gli italiani”, “l’Europa non funziona, solo in UK qualcosa si muove”, insomma, ragionamenti più seri di molte opinioni che ci sorbiamo sui giornali italiani. Poi naturalmente c’erano alcuni che volevano raggiungere parenti, c’è un numero vicino a mille di minori non accompagnati, una tragica situazione. Si oscillava tra una grande dignità e una grande disperazione, persone che notte dopo notte facevano un tentativo di passaggio della manica nascondendosi su un camion, sotto a un camion, sotto ad un camper, o addirittura a nuoto sperando di essere raccolti da qualche imbarcazione. Un giorno parlavamo con alcuni ragazzi e uno di loro ha detto “ma l’Inghilterra fa bene a non farci entrare! Siamo troppi e c’è anche brutta gente!”, surreale la discussione che ne è seguita con uno dei volontari.

A Calais in pratica ho potuto toccare con mano l’elettroencefalogramma piatto dell’economia europea, del quale persino i migranti erano consapevoli. E la loro consapevolezza non si fermava a questo. Pur muovendosi in buona parte per inerzia, in molti avevano la coscienza di essere uno strumento, di non essere lì per caso o “solo” perché nel loro paese l’economia era devastata, quando non lo era anche ogni infrastruttura tra guerre civili e bombardamenti. Certo, queste erano le cause immediate, ma ai migranti non sfuggivano le “cause profonde”, ed i grandi progetti di dislocazione di masse di persone, le più povere e bisognose, anche senza comprendere, come è naturale, i meccanismi capitalistici sottostanti.

Allo stesso tempo però, ciascuno di loro aveva una storia personale, intima, che la rendeva unica e che rendeva il loro percorso fin lì inevitabile e difficilmente ignorabile. L’idea che queste persone non si debbano aiutare perché altrimenti altri li seguirebbero (ma altri li seguono comunque fino a che il grande piano è in azione), o perché ci sono molti poveri da aiutare nei nostri paesi (che naturalmente vanno aiutati e assistiti, non mancano le charity che svolgono queste attività), non è dal mio punto di vista accettabile e non credo di peccare di “buonismo”. 

Il fatto intollerabile è che i governi agiscano in questi modi strumentali, aiutati purtroppo da forze politiche talvolta ignoranti, talvolta ugualmente demagogiche (spesso entrambe le cose), nell’approfittare di messaggi dalla facile presa quando le popolazioni sono state portate allo stremo, come la Storia ci insegna benissimo. Ma sono le due facce di una stessa medaglia: da una parte le forze che proteggono il capitale, dall’altra quelle che non presentano un’alternativa credibile, vuoi perché condite da un razzismo inaccettabile (mi dispiace, ma Salvini non mi convincerà del contrario), vuoi perché individuatrici dei bersagli sbagliati, come lo Stato e la sua corruzione, con richieste di ghigliottine più o meno metaforiche. 

E nel mezzo i poveracci, di tutti i colori e razze, di ogni età, con mille storie, alcune già conclusesi tragicamente. E nel mezzo i migranti, da terre lontane o anche da terre vicine, come le migliaia di italiani che vedo ogni giorno barcamenarsi con i meravigliosi contratti a zero-ore gentilmente offerti da sua maestà, perché come sappiamo no-euro è condizione necessaria, ma non sufficiente...



(...die Welt ist meine Vorstellung. Poi qualcuno spegne la luce...)